Friday, October 13, 2006

Aurora

Chi all’alba arriva nella città di Aurora ne coglie subito la forma circolare delle maestose mura che la difendono.

Entrando dalla Porta Orientale percorrerà un lungo tratto costeggiando l’interno delle mura dove in alcuni anfratti stazionano mendicanti e prostitute ed in qualche caso addirittura si aprono miserande botteghe di venditori di cianfrusaglie. Giunto ad una svolta a sinistra, lo straniero vede aprirsi un largo viale che punta diritto verso il centro di Aurora.

È per lui allora una cavalcata trionfale attraverso i molti quartieri di Aurora che si susseguono l’uno dopo l’altro a partire dalla sordida periferia, man mano incontrando le case popolari, quelle della piccola borghesia, dei professionisti ed infine le grandi magioni nobiliari con i loro splendidi ed inaccessibili giardini privati.

Si è quasi arrivati al centro, ove sorge nel mezzo di una grande piazza contornata di splendidi portici, il Castello, la sede del potere, dell’eleganza senza pari e del patrocinio delle scienze.

Proprio allora si para davanti un’interruzione: la via è sbarrata, cartelli perentori indicano di proseguire o a destra o a sinistra.

Il viaggiatore si adegua, cerca un’altra via d’accesso al centro, supera ponti, ritorna nei vicoli, scopre perfino amene piazzette con un pozzo od un albero al centro. Ma non riesce più a ritrovare la strada precedente.

Il sole comincia a calare, prima osservato con un certo stupore: già mezzogiorno passato! Poi con preoccupazione, infine con terrore o sordida amarezza.

E’ tardi, bisogna rinunciare per sempre.

Nessuno torna una seconda volta a visitare Aurora, nessuno si trattiene dopo il tramonto.

Friday, September 29, 2006

La vendetta

Quando lessi per caso sul Corriere che un giovane era stato trovato morto nello slargo informe a ridosso della Taverna di Via Morigi, pensai dapprima di aver letto male. Eppure l’articolo era chiaro e descriveva minuziosamente lo stato del cadavere, il quale presentava segni atroci ed inspiegabili. Il ventre era squarciato e mostrava una ferita mortale mai vista prima. Era come se gli organi fossero esplosi verso l’esterno e la materia organica fuoriuscita si fosse cristallizzata regolarmente in una molteplicità di concrezioni ipercubiche.

Tornai con la mente al giorno precedente, quello in cui per caso incontrai A. nei sotterranei del Politecnico di Milano, sotto l’edificio della Nave. Ero là per sostituire alcune schede nei server pirata, assemblati da tempo immemorabile da una setta studentesca ed usati clandestinamente per gestire il mondo virtuale di MidLand, l’immenso gioco di ruolo ambientato a Milano e del quale nessuno parla mai apertamente.

Dapprima A. si accattivò il mio interesse. Mi svelò che quella sera stessa sarebbe stato possibile sorprendere nel grande salone di Palazzo della Ragione di Piazza Mercanti un gruppo di monaci tibetani in un cerchio di meditazione. Solo per quella sera i monaci avrebbero rivelato un mantra di potere che avrebbe permesso ai pochi che si fossero connessi al gioco in quel momento e raggiunto quel luogo di accedere ad un livello più avanzato del gioco stesso, quello che simulava le corse di bighe nel circo romano di via Cappuccio e via Circo.

Ora comprendo che A. era un maestro di quella sottile arte che consiste nell’esacerbare le tensioni mentali che si creano tra il reale ed il virtuale e nel solleticare la vanità di chi adotta il virtuale per controbilanciare il deserto del reale.

Caddi nella trappola e mi scappò detto che da poco avevo acquistato da un altro giocatore (e mi era costato quasi un mese di paga oltre al rischio enorme che si corre nell’incontrare nel mondo reale un giocatore di MidLand) una sciabola virtuale, proveniente da livelli superiori del gioco ed il cui possesso mi garantiva il dominio sui giocatori di livello pari al mio.

Fu allora che A. disse una frase che lì per lì non compresi: “Incauto acquisto. Se proprio volevi barare, avresti fatto meglio ad acquistare un’armatura”.

Per lungo tempo avevo sentito favoleggiare del livello supremo di MidLand, quello in cui i veri iniziati agivano da MidLand verso la Milano reale, modificando quest’ultima o i suoi abitanti in modi così sottili da risultare impercettibili, ma che erano applicati continuamente, inesorabilmente, con l’ossessionante precisione di cui solo il computer è capace ed i cui effetti cumulati nel tempo potevano improvvisamente provocare ora un incendio, ora un blocco del metrò, ora addirittura panico in una Chiesa.

L’articolo del Corriere riportava anche una foto del morto dalla quale potevo riconoscere il ragazzo che mi aveva venduto la sciabola virtuale.

E ora la mia vita non è più mia.

Wednesday, January 25, 2006

Il gigante

Fu a “La Belle Aurore” in via Castel Morrone che improvvisamente sentii degli sconosciuti dire che un gigante era stato trovato annegato nel Naviglio Pavese, all’altezza della sponda crollata di Via Imperia. Per un breve istante mi sembrò di stare sul ponte di una nave e dovetti appoggiarmi al bancone per non cadere mentre il cuore mi batteva forte forte.

Mi precipitai sul posto, attraversando la città immersa nella notte, ma quando arrivai non c’era più nulla da vedere. La gente era stata tenuta a distanza, la zona cordonata, e alcuni passanti, da me interrogati, davano risposte incerte e contraddittorie. Un mezzo ubriaco (l’avrei preso a sberle!) parlava addirittura di una balena spiaggiata.

Feci lunghe ricerche, ma come spesso accade in casi come questo, né i giornali né la TV riportarono il fatto, se non come leggenda metropolitana, tanto per canzonare i creduloni.

Finalmente trovai alcune foto sfocate su Internet in un sito dedicato ai misteri di Milano e della Lombardia.

Del gigante si distingueva il torso, immane e bianchissimo, mentre la parte inferiore del corpo pareva sparita. Il volto era orrendamente sfigurato, mangiato dai topi, ed il braccio destro terminava con una manona che ricordava quella delle colossali statue del Basso Impero.

Il sito non diceva però ciò che appariva evidente a coloro che sanno. Nonostante la devastazione subita, intuivo che il volto del gigante era sempre stato privo di rughe, mondo come quello di un bambino.

Semmai, nel sito ci si dilungava sulla presunta autopsia che le autorità avrebbero segretamente compiuto sui miserandi resti e dalla quale sarebbe emerso che il colosso non aveva stomaco, né intestino.

Se avessi animo di uscire allo scoperto potrei confermare che questa è l’unica cosa esatta che si seppe di lui.

Si trattava infatti di una creatura eminentemente spirituale e quando smisi di pensarlo, morì.